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il cellulare e lo sviluppo di tumori cerebrali

il cellulare e lo sviluppo di tumori cerebrali

Ha fatto velocemente il giro del mondo la recente sentenza della Tribunale di Ivrea, con cui per la prima volta, già in primo grado, si riconosce l’esistenza di un nesso causale tra radiazioni emesse dal nostro cellulare e l’insorgenza di un tumore al cervello.

L’utilizzo prolungato e continuativo del cellulare, usato senza auricolari né vivavoce, è stato riconosciuto dal giudice di Ivrea Laura Fadda come possibile causa dell’insorgenza di un tumore. La vittima, che ricorreva contro l’Inail, è un tecnico della sede di Torino di una grande azienda di telefonia italiana.  Gli è stato riconosciuto un danno biologico del 23%.

Il nodo della questione é la sussistenza di un sicuro rapporto causa-effetto, tra lo sviluppo di un neurinoma acustico e «l’esposizione professionale alle radiofrequenze emesse da telefoni mobili, da lui utilizzati quattro ore al giorno per almeno 15 anni e per più di 12mila ore complessive. Il rischio sarebbe maggiore per chi ha usato più tipi di telefoni mobili e quando si telefona da un locale fortemente schermato, in particolare quando si è in una autovettura che funge da “gabbia di Faraday” impedendo o comunque rallentando la diffusione all’esterno delle radiazioni prodotte».

Sono facilmente immaginabili gli enormi conflitti di interesse che si associano a una conclusione di questo del genere, interessi che riguardano l’industria telefonica, il Governo, gli Stati. Per importanza, la pronuncia non é meno sensazionale di quelle che investirono l’industria del tabacco negli anni passati.

Stiamo infatti oggi vivendo quella fase d’iniziale consapevolezza circa la potenziale nocività di un prodotto che ciascuno di noi utilizza, spesso in maniera massiccia tutti i giorni. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato alla fine del 2011 in circa sei miliardi le schede cellulari attive su un mercato in costante crescita.

Se si legge bene, peró la motivazione della sentenza, appaiono evidenti numerose imprecisioni giornalistiche apparse sui quotidiani nazionali a maggior tiratura all’indomani del pronunciamento. Nelle conclusioni della sentenza si legge infatti che il tecnico: “abbia utilizzato in maniera abnorme telefoni cellulari nel periodo 1995/2010” . Va sottolineando il termine “abnorme” e si aggiunga che per 7 anni si é trattato di tecnologia ETACS (ora abbandonata) e che, lo ricordiamo tutti,  provocava surriscaldamenti dell’apparecchio e della guancia, poiché ai tempi non erano disponibili le “cuffie” per parlare senza tenere il cellulare vicino al viso.

Il tumore per cui il paziente é stato operato é un neurinoma dell’acustico, quindi un tumore benigno e raro in quanto colpisce dallo 0,7 all’1 per mille dei soggetti. La stampa ha diffusamente parlato di carcinogenesi e “cancro al cervello” in maniera non corretta, né pertinente.

Sempre nella sentenza si ammette la “mancanza di conoscenze su meccanismi d’azione plausibili per un effetto cancerogeno delle radiofrequenze”. Il nesso viene pertanto ridotto da “causale” quanto meno a solamente “concausale”, ridimensionando sostanzialmente la responsabilità delle onde generate dal telefonino. In conclusione quindi si conferma quanto é stato affermato, e cioè che “non c’erano prove che potesse creare un tumore, ma è stato detto che non si poteva anche dire il contrario”.

Questo ci può tranquillizzare solamente in parte, per cui le raccomandazioni dettate dal buonsenso rimangono quelle di usare il telefonino per comunicare in modo essenziale e non sicuramente in modo eccessivo o “abnorme”, tenerlo, quando possibile, lontano dal capo mediante l’utilizzo di cuffiette e viva-voce.