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L’orecchio di Van Gogh

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L’orecchio di Van Gogh

Nel Novecento pochi pittori hanno saputo esprimere i loro conflitti interni come Van Gogh, e suscitare universali consensi. La mutilazione dell’ orecchio sinistro, che dal punto di vista della storia della otorinolaringoiatria è un accidente, nella tormentata vita del pittore è del tutto marginale, rispetto alle cause del disagio esistenziale che lo portò al suicidio due anni dopo. L’amputazione, che diede a Van Gogh lo spunto per dipingere l’autoritratto, in cui egli si ritrae con l’orecchio bendato, è un evento che consegue alla malattia mentale, che è la causa del suo malessere. È la psicosi, di cui lui è portatore e vittima, che domina la scena dei suoi ultimi anni di vita e che condiziona la sua produzione artistica. In una delle sue innumerevoli lettere al fratello scrive: “sono assolutamente certo che come pittore non rappresenterò mai nulla di importante… A me non è consentito vivere, soffrendo così spesso di vertigine, se non in una posizione di quarto, quinto rango”. Van Gogh è un esempio dello stretto rapporto tra malattia e arte, della fusione delle alterazioni mentali con la pittura, i colori, le forme, dell’influenza reciproca di genio e follia.  Una sera al caffè, senza motivo apparente, Vincent scagliò contro Paul Gauguin un bicchiere di assenzio. La sera dopo gli andò incontro per la strada minacciandolo con un rasoio in mano. Gauguin, di conseguenza, decise di andarsene. Vincent, rimasto solo e disperato, sfogò su se stesso tutta la sua violenza, tagliandosi parte dell’orecchio sinistro e portandolo a Rachel, una prostituta amica. Il mattino dopo, il postino Joseph Roulin trovò Vincent a letto sanguinante e lo fece ricoverare all’ospedale di Arles. Ma perché si inferse la mutilazione proprio all’orecchio? Probabilmente perché sede di insopportabili allucinazioni uditive: Vincent, infatti, sentiva le voci.  Nel maggio 1889 Van Gogh si fece ricoverare per l’ennesima volta nel manicomio di Saint Remy. Per un po’ di tempo le giornate passarono in silenzio e inattive, poi egli riprese a dipingere, nacquero altri capolavori e alcuni drammatici autoritratti. Il 27 luglio 1890, in mezzo ai campi con cavalletto e pennelli, in preda ad una ennesima crisi, si sparò un colpo di pistola al petto. Non morì sul colpo e si trascinò fino a casa, dove morì due giorni dopo.