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LA COMUNICAZIONE DISTORTA

LA COMUNICAZIONE DISTORTA

Un esempio di comunicazione distorta molto attuale é quello degli odiatori ovvero gli “haters”. È una diretta conseguenza della disponibilità universale dei nuovi media e del mondo che hanno contribuito a creare. Come i selfie quando ancora non esistevano i social media si chiamavano autoritratti, oggi si definiscono hater quelli che una volta venivano definiti grafomani.
“Graphomania” è un termine della psichiatria tradizionale che si riferisce a coloro che hanno un’aspirazione patologica, un’inclinazione dolorosa o una passione per la scrittura infruttuosa, che li spinge a scrivere ovunque testi che non hanno alcun valore culturale, narrativo o informativo. Frequentemente si tratta di individui asociali, solitari, con bassa autostima che non riescono a trovare un linguaggio comune con nessuno e riversano i loro sentimenti e pensieri in forma scritta. Il grafomane, scrivendo, compensa il suo bisogno di comunicazione, le sue opere sono brillanti solo per lui che le scrive. Crede veramente nel suo genio. “Solitamente il soggetto cerca con tale attività di estrinsecare e rendere socialmente presente il proprio io” dice lo psicologo. Si tratta a tutti gli effetti una forma particolare di esibizionismo che si riscontra frequentemente nei giovani normali, solitamente per un breve periodo durante l’adolescenza. Con l’età adulta questo comportamento assume caratteri patologici e va considerato sintomo di malattia mentale. La si osserva infatti in schizofrenici, ma più spesso in personalità psicopatiche o in soggetti nevrotici.
Il rapido evolversi di internet e la conseguente nascita dei social media negli ultimi anni, hanno rivoluzionato in modo radicale il nostro modo di comunicare, stravolgendo il concetto stesso di interazione sociale. Questo 21.esimo secolo è stato protagonista dell’esplosione dei social network e delle piattaforme web di condivisione come, per esempio, Facebook, Twitter, Instagram, YouTube. Questi strumenti consentono la pubblicazione, la lettura e la condivisione immediata di contenuti audio, video o testuali in modo rapido e semplice, favorendo una forma di partecipazione online straordinariamente coinvolgente. Tutto ciò ha comportato che il tradizionale grafomane ha superato l’impulso a scrivere una lettera anonima o un messaggio sul muro di una latrina pubblica e si sia evoluto in un hater. I social network, hanno involontariamente favorito la diffusione su larga scala di comportamenti negativi e distruttivi che David-Ferdon e Hertz hanno definito “aggressioni elettroniche” e una forme più diffusa di aggressione come il cyberbullismo, un comportamento aggressivo, ripetuto e sistematico, rivolto a una persona specifica. Recentemente gli psicologi Di Natale e Triberti hanno definito molto bene la struttura di questi individui, ed anche di una seconda categoria di aggressori elettronici che, al contrario, sarebbero privi di una precisa vittima designata. “Rientrano in questa categoria i cosiddetti “troll”, ovvero persone che sfruttano il mondo online per connettersi in modo anonimo e scrivere commenti crudeli e brutali apparentemente senza uno scopo preciso se non quello di creare scompiglio e ottenere reazioni da altri utenti”. Secondo uno studio condotto dall’Osservatorio Italiano sui Diritti e da alcune università italiane, le categorie su cui riversa maggiormente l’odio sono le donne, gli omosessuali, i migranti, i diversamente abili e le persone di religione ebraica. Lo studioso della comunicazione Hardawer, che ha condotto ricerche in quest’ambito, ha analizzato i contenuti dei messaggi degli haters e ha concluso che sono caratterizzati dall’assenza di obiettivi precisi e critiche costruttive e si distinguono per la difficoltà di individuare una motivazione chiara e radicata nel contesto in cui si manifestano. Numerose testimonianze ci confermano che, per lo più, le persone tendono al cospetto di una tastiera e di uno schermo a dire o fare cose in modo più disinibito e intenso rispetto a come le direbbero in un faccia a faccia. Questo fenomeno è stato definito da Suler effetto di “disinibizione online”. È confermato inoltre che la comunicazione mediata da uno strumento offre al grafomane/hater l’opportunità di sperimentare una separazione e distinzione delle sue azioni online dall’abituale stile di vita e dalla sua vera identità. Il fatto che nel mondo online le persone non possano vedersi l’un l’altra contribuisce ad aumentare questo effetto di disinibizione dando il coraggio agli utenti di fare cose che in altri contesti non farebbero. Anche non dover far fronte alla reazione istantanea dell’altra persona accentua l’effetto di perdita di freni in inibitori. Spesso ad amplificare questa disinibizione contribuisce anche la possibilità di dissociarsi e creare un proprio personaggio che deve trovare una collocazione nel web, in uno spazio etereo in cui le conseguenze delle proprie azioni sono concepite come meno intense, meno gravi e molto meno problematiche. Nel web davvero uno vale uno, gli indici sociali non verbali (abbigliamento, posture e altro) non sono assolutamente percepiti e chi sta alla tastiera non é portato a riconoscere l’autorità degli altri e di conseguenza non regola il comportamento come farebbe se la conversazione si sviluppasse tra due persone a tu per tu.
Queste distorsioni della comunicazione, quindi vengono messe in atto per il puro piacere di farlo e il fenomeno va letto come una manifestazione quotidiana online dei tratti sadici che le persone tendono a non esprimere nella vita reale.
Come comportarsi pertanto quando incappiamo in personaggi di questo tipo? Sembra premiare la strategia riassunta dal noto adagio “don’t feed the troll” in italiano “non dar da mangiare al troll”; se l’hater viene ignorato, e i destinatari delle offese non rispondono ai suoi attacchi, egli tende ad annoiarsi e ad abbandonare il contesto online dove ha cercato invano di creare confusione.